C’è stato anche del buono a Torino

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Mi affido a una metafora per farmi capire, per descrivere le

sensazioni che ha suscitato l’Udinese di Torino, sconfitta da una Juve

con la pelliccia spelacchiata e un unico bottone luccicante (a

intermittenza, Dybala), non degna della nobiltà che le deriva dal

sangue e da un secolo di vittorie. E perciò abbordabile, domabile,

come hanno rivelato nel percorso stagionale Verona, Sassuolo ed

Empoli.

L’Udinese, dunque: come una città che si annuncia con una periferia

gradevole, ben costruita, pulita e con squarci anche belli; mentre

quando il turista raggiunge il centro, il cuore, da dove scattare la

foto da consegnare al ricordo, la delusione l’assale lasciandolo

insoddisfatto per un’architettura raffazzonata, pretestuosa,

disarmonica.

Il bello di Torino sono stati i giovani, la freschezza e la spinta di

Perez, di Makengo, di Soppy e di Udogie, ai quali aggiungere la

continuità di Arslan  (finalmente in grado di andare oltre l’ora di

resistenza) e anche l’adattabilità di Zeegelaar al ruolo che fu di

Samir. Non è una  scoperta di Cioffi, già Gotti aveva provato il

mancino olandese, di professione esterno,  da centrale di sinistra e i

test sia pure parziali avevano incoraggiato. A maggior ragione questo

impiego a tempo pieno meritevole di sufficienza nonostante la

“scivolata” che l’ha messo fuori causa liberando in solitudine

McKennie per il raddoppio di testa. Si è letto che Gino Pozzo avrebbe

nel mirino lo spagnolo Marì Villar, specialista del ruolo, ventottenne

giramondo che l’Arsenal vorrebbe sbolognare. Aspetti un attimo (la

partita di Coppa con la Lazio e lo scontro diretto di sabato col

Genoa) prima di concludere: magari scopre di avere l’uomo giusto già

in casa e di conseguenza, già irrobustito il reparto con il croato

Benkovic, potrebbe dirottare altrimenti i quattrini per

l’investimento, auspicabilmente portando a casa un giovane italiano di

buona volontà.

E’ altro che non ha funzionato nell’Udinese anti-Juve e il rilievo ci

porta dritti ai due uomini di punta. Deulofeu va e viene, si accende e

si spegne, vive di entusiasmi e depressioni, la continuità non è il

suo forte. Stavolta, privo di voglia e di spunto, ha toppato. E come

lui ha deluso Beto. L’ammirazione e la gratitudine per gli 8 gol che

ci tengono a galla non possono esimere da un veloce approfondimento

sul merito di questo attaccante, potente e promettente sotto diversi

aspetti, che il calcio europeo ha lasciato approdare a Udine senza

rimpianti. Che già ne conoscessero i limiti? Oggi li vediamo anche

noi. Beto è un individualista all’eccesso, va solo contro il mondo,

non possiede visione periferica né prevede possibili alternative alla

sua percussione a ogni costo. Lui va dove lo porta l’istinto, lui tira

anche da lontano pure se un gran tiro non ce l’ha, fa la cosa  giusta

e un attimo dopo rovina tutto quando ignora il compagno meglio

piazzato e l’assist varrebbe il gol. Come conseguenza, succede che

quando la palla la piglia lui, la squadra lo segue pigramente, non

l’accompagna sapendo che sarà inutile stargli dietro e tentare

l’inserimento perchè il passaggio non arriverà. Resta da vedere se la

tendenza è irreversibile (signori: questo sono e questo resterò),

oppure se il ragazzo si renderà disponibile ad allargare gli

orizzonti, ad applicarsi per un copletamento da terminale moderno, in

stile Lewandowski per capirci. Non so dire se Cioffi sia l’allenatore

in grado di promuovere una simile riconversione, qui servirebbe un

vero maestro di campo e di psicologia.

A proposito di Cioffi: lo metto tra i “6 meno” di Torino per il

ritardo nei cambi dei punteros: Pussetto e Success qualcosa di meglio

avrebbero fatto. Non sfugge al 5, per contro, l’arbitro Giua: ha visto

bene negando il rigore quando Soppy ha tentato di forzare un pertugio

troppo stretto; ha sbagliato quando non ha punito Bernardeschi che

tentava di scotennare lo stesso francesino. Quello era rigore, anche

se le immagini tv hanno fatto di tutto per ignorarlo.

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