Rita Mascialino, Fabiola Girardi: “IL LIBRO DELLE FAVOLE – Tentativo di versi in due tempi”

Rita Mascialino,  Fabiola Girardi:  “IL LIBRO DELLE FAVOLE – Tentativo di versi in due tempi”

Rita Mascialino,  Fabiola Girardi:  “IL LIBRO DELLE FAVOLE –

Tentativo di versi in due tempi”

Udinese-Life, Semantica dell’Arte, marzo 2021.

Udinese-Life, Semantica dell’Arte, marzo 2021.

 

UDINE, 5 marzo 2021Fabiola Girardi (Udine 1964) vive a Pasian di Prato nelle immediate vicinanze della città, dove lavora presso l’Associazione ‘La Nostra Famiglia’. Nel tempo libero scrive poesie di profonda ispirazione. La sua intensa silloge poetica “Un pensiero si guarda attorno” (2008) ha vinto il Secondo Premio alla Sezione di Poesia del Premio Franz Kafka Italia ® del 2014 con Premiazione a Gorizia, al Teatro del Kulturni Center Lojze Bratuž, Presidente Franka Žgavec. Partecipa ad eventi culturali in Friuli, tra cui nel 2015 alla ‘Giornata contro la violenza alle donne’ con la sua composizione “Il libro delle favole – Tentativo di versi in due tempi”, poesia che viene presentata in questa analisi critica.

IL LIBRO DELLE FAVOLE

Tentativo di versi in due tempi

I.

C’ero una volta

E mi guardavo nello specchio

Con gli occhi pieni di colori

Riflessi

Che non chiedevano le sue risposte

Io le avevo già tutte

Tu

Sei entrato nella mia storia

La volevo nostra

Era gioia voltarne le pagine con te

Una per una

Le hai volute strappare

E farne fuoco per spegnermi

Lo specchio guarda

E aspetta forse qualche domanda

Ma non ne ha

Il mio volto deserto

II.

Ho posato la penna

Tremando nelle dita non continuo

Entro

Ma sono intrusa nella tua stanza

Parlare di te

Resta un guardarti da fuori

Immaginarti

Raccontare le tue ferite

Dalla mia carne intatta?

Vestire le mie parole col tuo dolore

E chiamarle poesia?

Non lo sono, se non accettano

Di morirmi nella gola

Provano ad uscire, mostro solo il mio vuoto

E lo riempio di un grido

PERCHÉ?

Si tratta, secondo il sottotitolo del componimento, di un tentativo di scrivere versi. Chi lo dice è una poetessa affermata come tale, si tratta quindi di un tentativo la cui natura non è scontata come sarà chiarito nel corso di questa presentazione. 

La lirica in due tempi di Fabiola Girardi mostra nella prima parte la sofferenza della donna ferita dal trattamento ricevuto da un uomo, come dal genere grammaticale che essa adopera,  uomo che essa ha amato e che diceva di amarla. L’uomo al contrario ha millantato un amore che non nutriva in cambio del sentimento vero della donna, cui ha corrisposto pesanti maltrattamenti psicologici finalizzati a spegnerne la personalità, a indebolirne l’identità di persona, il tutto traendo soddisfazione dalla sua azione malvagia.  L’uomo è riuscito nel vile intento e le ha spento giorno per giorno la gioia di vivere, impietosamente, per il solo piacere di dimostrarle come essa non fosse nessuno, ossia le ha dato sofferenza invece di amore come al contrario ne ha ricevuto da essa.  

In passato la protagonista della lirica quando si guardava allo specchio si vedeva piena dei colori più belli della vita, non aveva bisogno di un uomo per sentirsi viva e lieta di vivere, si guardava contenta di essere com’era. Dopo l’ingresso dell’uomo nella sua esistenza le cose sono cambiate e non in meglio. L’uomo, incapace di amare e invidioso della meravigliosa disposizione spontanea e sincera ad amare della donna ha voluto strappare le metaforiche pagine dell’amore di questa per dileggiarla e farne fuoco, per bruciarne la natura più nobile della sua. Commovente e significativo è il primo verso tra gli altri: “C’ero una volta” che riprende l’inizio classico delle fiabe di epoche trascorse, con il solo mutamento angosciante relativo al fatto che chi non c’è più è la poetessa, non si tratta di personaggi del passato esistiti prima che la fiaba narrasse di loro e che al momento della narrazione non c’erano ormai più perché scomparsi nell’avvicendamento della vita e della morte – non ci soffermiamo qui sugli ulteriori e più profondi significati dell’incipit delle fiabe che non riguardano il tema della poesia. Si tratta La persona che c’era una volta è la poetessa proiezione di Fabiola Girardi che vive tuttora nell’attualità. Dopo la premessa rappresentata nel primo tempo come in un vero e proprio antefatto, nel secondo tempo del dramma la donna, vedendosi con il suo nuovo volto, si sdoppia in quanto si sente estranea a se stessa, ossia non si riconosce più, tanto è mutata. E ciò che è la novità più sconvolgente, più triste, è che vorrebbe smettere di scrivere poesie perché ritiene di essere svuotata di sentimenti positivi per la vita – in realtà, in quanto poetessa, non può evitare di scrivere la sua poesia forse più profondamente sentita, come vedremo subito. Può dunque ancora esprimere la verità del suo dolore in versi poetici? Sarebbe, afferma la Girardi, come non dire la verità, visto che dopo l’infausto evento del suo incontro con l’uomo quando vuole giungere alla verità della propria personalità trova solo il vuoto – così negativo l’incontro è stato. Può con la poesia parlare di una sofferenza, non essendo più in sintonia con il proprio Sé? O le parole poetiche possono essere solo un manto estetico che nasconda la verità invece di conclamarla? La conclusione cui giunge la poetessa Fabiola Girardi è devastante: le sue parole non sono più verità, la poesia non lo è più, non in lei almeno che vuole verità dalla poesia, non puro ornamento o, peggio, velo ingannevole che renda quasi invisibile la realtà della mente, della personalità, della visione del mondo. Ora può ancora solo esprimere con la sua poesia il vuoto e lo sconcerto di fronte a come si svolga la vita umana, in particolare, secondo l’assunto della manifestazione della ‘Giornata contro la violenza alle donne’ e estendendo pertanto l’orizzonte a livello universale, a come si svolga la vita della donna in generale, lo scenario si fa implicitamente quello della più  tremenda e plurimillenaria storia della donna nella sua relazione con l’uomo. Ma non solo, perché implicitamente l’uomo, senza amore di cui nella poesia pare non essere capace, è in una situazione ancora peggiore di quella della donna che ha ingannato con  le sue arti seduttrici, essendo solo uno che mente. L’attacco sconsiderato dell’uomo contro la donna attraverso l’uso della sua violenza psicologica, attraverso l’uso della menzogna e dell’umiliazione, continua a fare danno anche dopo l’uscita dell’uomo dall’esistenza della donna, continuando ormai a impedire che la donna possa di nuovo avere o credere di poter amare, di poter avere un’identità libera, in seno alla quale vivere liberamente la propria vita senza sentirsi offesa nel profondo, senza sentirsi tarpare le ali nel piccolo e lieto volo, senza dover combattere con quello che viene ormai riconosciuto come suo nemico oggettivamente: l’uomo. La donna e l’uomo, nel grido che la donna lancia al vuoto, non diretto all’uomo che tanto dolore le ha causato, non  diretto a nessuno, almeno apparentemente, bensì messo in una solitudine assoluta e in un pessimismo quasi leopardianamente cosmico, assurgono dunque a simboli di un’umanità divisa in coloro che conoscono l’amore e sanno amare, nella fattispecie le donne, e in coloro che dell’amore conoscono solo la più povera materialità finalizzata al soddisfacimento dei propri bisogni animali. Fabiola Girardi non vuole rassegnarsi ad una poesia ingannevole e superficiale, meglio allora esprimere il vuoto, il quale è la realtà che essa vede in se stessa riflessa nello specchio dopo l’esperienza negativa nei suoi confronti. Così in questa emozionalmente intensa nonché dura e drammatica poesia in due tempi di Fabiola Girardi. Tuttavia approfondendo i concetti espressi nella poesia di Fabiola Girardi – il titolo parla del Libro delle Favole, quindi di storie d’amore che in quanto tali pare non siano reali, siano frutto di fantasia –, emerge come la fantasia, per quanto non pochi umani tentino di mentire anche in essa, dica e riveli comunque e sempre la verità della complessa natura umana, molto più profondamente che nella superficie della quotidianità, luogo in cui si può mentire impunemente ed essere anche creduti per motivi di falsità delle parti in gioco o di non comprensione delle cose come esse stiano. Le favole quindi, se interpretate convenientemente, dicono la verità ultima dell’essere umano così come la dice l’Arte, il frutto più prezioso della fantasia. Anche la poesia di Fabiola Girardi pertanto, malgrado le intenzioni consce della poetessa di non poter più dire la verità tranne quella relativa al vuoto interiore, dice e anzi grida la verità della poetessa e della donna in una attualità che non sembra troppo diversa dall’agghiacciante passato della donna come persona strumento in mano all’uomo, più forte di lei, più capace di imporre la sua volontà libera ovunque egli volesse e voglia. Il “Perché?” finale in cui si concentra la domanda gridata a caratteri cubitali pare non avere risposta. Ma la risposta c’è, implicita al grido. Sta nella potenza che dà voce al grido stesso, una potenza fatta di millenni di storia femminile e inevitabilmente anche maschile. C’è anche altro di implicito al grido lanciato dal vuoto e nel vuoto: un grido che può non solo fare sentire la propria eco solitaria, ma anche raggiungere  altri possibili umani, anche gli uomini, i più forti, affinché cambino la loro arcaica disposizione verso il più debole, verso la donna, ossia affinché vogliano cominciare a permettere al più debole in generale e alla donna in particolare di vivere, non togliendo ad essi con la violenza materiale e psicologica del più forte il diritto di avere una identità come persone  libere. Grande quanto profondamente sentito il messaggio di Fabiola Girardi in questo Libro delle Favole che non è ornamento né illusione, né tentativo di comporre dei versi come si è potuto constatare durante l’analisi della composizione, ma vera poesia quale parola di verità che si pone come motivo di riflessione per l’umanità.

                                                                                                    Rita Mascialino

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