Sei tu forse il vagabondo
ad ondeggiare
come un atomo stabile
nel caos quantistico
delle onde dei suoi protoni
neutroni ed elettroni?
Sei tu colui
che sommerso
vagamente ondeggi
tra alte onde
mentre il sole s’innalza
scappando dal mare?
O forse nostro è
il vago ondeggiare
di ciascuno di noi
che oggi
verso il sole
andiamo desolati
gridando: “Pace,
pace!”
Recensione di Antonella Soldà
Ritengo opportuno notare che, a proposito del rapporto “Scienza-Arte”, Roberto Soldà, chimico ma appassionato cultore e praticante della poesia e della pittura, spesso elabora un testo relativo a un suo dipinto nel corso della sua attività pittorica.
Ebbene, durante l’elaborazione dei due dipinti: “Vago ondeggiare” e “Caos quantistico”, è nata la poesia “Vago ondeggiare”.
Essa è stata composta in un momento di sospensione, una di quelle fasi della vita in cui non si sa bene se si sta andando avanti oppure semplicemente si sta galleggiando. Quindi, si può dire che tale poesia è in un certo senso figlia di una sensazione, più che di un pensiero: la sensazione di essere “parte” di un movimento costante, ma senza direzione certa.
E, come sovente avviene, Soldà l’ha concepita quasi come un esperimento di “poesia ibrida” cercando di collegare il linguaggio della scienza del microcosmo – atomi, protoni, neutroni, elettroni, ecc. – con quello dell’anima umana, che pure si muove, vibra, ondeggia in modi misteriosi.
Infatti, in questa poesia si avverte anzitutto la sua formazione scientifica, oltre a qualcosa di ironico, ma anche di tenero, nel pensare a noi come a “atomi stabili nel caos quantistico”: una stabilità solo apparente, un equilibrio precario dentro un universo che non conosce davvero la quiete.
È molto suggestiva l’immagine del sole che s’innalza e scappa dal mare: è il simbolo di una speranza che però non si lascia mai davvero afferrare, mentre quel vago ondeggiare diventa anche nostro, di tutti coloro che, pur disorientati, continuano a muoversi, a cercare, a gridare verso la luce parole di pace, anche se forse non sanno più bene a chi le rivolgono.
Così il dipinto, con lo stesso titolo della poesia, sembra anche suggerire che forse il nostro destino è proprio questo: ondeggiare senza mai fermarci, ma con la speranza ostinata che un giorno, in quel moto, troveremo un senso.


