La recente scomparsa del campione di basket udinese evoca il ricordo degli anni migliori della pallacanestro di casa nostra
Rino Bruni, campione udinese di basket, è mancato nei giorni scorsi, e un pensiero particolare va ai suoi primi passi nel quartiere di Planis, dove la famiglia gestiva un bar lungo la Roggia e dove lui sfidava i coetanei della zona, in quegli anni Sessanta, in interminabili partite a dama e a scacchi. I più, allora, giocavano a calcio nel San Gottardo o nel Ricreatorio, le società più attive in campo giovanile, ma lui preferiva il basket, cimentandosi nel campetto dell’oratorio della parrocchia delle Grazie o spingendosi più in là in quello antistante il cinema Asquini, oggi Visionario. E’ lì che Rino, ancora lungi dal raggiungere la successiva statura fisica, si propose un giorno a uno dei molti scopritori itineranti di talenti, il professor Ezio Cernich, chiedendogli di poter entrare a far parte della Libertas, dove il tecnico operava. “Mi spiace, sei piccolo, ci vediamo più avanti”, Cernich smontò ma non spense gli entusiasmi di Bruni, che in un anno ebbe una crescita notevole, ripresentandosi al mitico Ezio con la stessa richiesta di mesi prima. Questa volta venne accettato e nella Libertas mise in mostra le sue principali caratteristiche, quelle dell’arresto e tiro e delle fulminee entrate a canestro che gli valsero in seguito una prima convocazione nella Juniores azzurra. E alla vigilia di quello stage, è il racconto che Rino mi fece, Cernich gli rivolse un consiglio che si rivelò fondamentale, quello di non passare il pallone ma di mettere in mostra egoisticamente le sue peculiarità essenziali, l’ entrata a canestro e l’arresto e tiro. Fu confermato, e dalla prima canotta azzurra in poi la sua carriera proseguì in crescendo, nella Patriarca a Udine e poi a Gorizia, dove entusiasmava il pubblico stipato nella palestra della Ginnastica, covo del grande basket isontino. A fine carriera venne a trovarmi un giorno nella redazione del giornale sportivo per cui lavoravo, gli dedicai un’intervista, era rimasto il bravo e simpatico ragazzo che sfidava i giovani amici a dama e a scacchi nel bar di famiglia lungo la Roggia. La sua scomparsa, seguendo a distanza quelle del suo scopritore Ezio Cernich e di un altro talent scout come Giancarlo di Brazzà, fulcri della Libertas Udine di quegli anni, lascia un vuoto in quanti hanno vissuto da protagonisti o da semplici osservatori il magic moment della pallacanestro friulana, quella dei talenti che nascevano e crescevano nei campetti e negli oratori diventando in seguito nomi indimenticabili di un mondo dello sport genuino che non c’è più.
Edi Fabris



