Un’azione deplorevole e inaccettabile, che non solo manca di rispetto alla memoria delle vittime, ma compromette anche gli sforzi di riconciliazione e dialogo tra le diverse comunità coinvolte.
Nelle stesse ore in cui il Presidente Sergio Mattarella inaugurava con la Presidente slovena Natasa Pirc Musar l’evento “Nova Gorica-Gorizia capitale europea della cultura”, si è verificato il grave episodio di profanazione del monumento che ricorda i martiri delle foibe a Basovizza. Ci uniamo alla condanna di questo gesto scellerato che conferma le considerazioni che avevamo espresso nel luglio di cinque anni fa, ovvero nei giorni in cui lo stesso Presidente Mattarella aveva sostato, mano nella mano, con il presidente sloveno Borut Pahor, dinanzi allo stesso monumento.
Dicevano: “Si è trattato di un gesto significativo destinato a lasciare un segno: per la prima volta un presidente sloveno ha reso omaggio ai morti di Basovizza, la foiba in cui furono gettati centinaia di italiani, tedeschi, ma anche sloveni e croati, uccisi dai partigiani comunisti. Sono trascorsi oltre 15 anni dall’apertura dei confini fra l’Italia e la Slovenia, eppure è evidente che ci sono ancora problemi irrisolti che nemmeno le cerimonie simboliche riescono a superare”.
Di questa frattura, che ancora resiste sul Confine orientale, è giusto parlare, poiché occultare o non tenere conto di queste tensioni non aiuta a superare le ferite che la storia ha inferto a questa zona dell’Europa dove, per molti decenni del Novecento, italiani, sloveni e croati si sono combattuti fra di loro. Una frattura che parte da Malga Bala (…) e prosegue sino alle malghe di Porzûs dove 18 partigiani della Brigata Osoppo furono uccisi, nel febbraio del 1945, da una formazione GAP per ordine della Federazione del PCI, con il favore del IX Corpus sloveno. Quella faglia prosegue verso il Collio goriziano, zona di dolci colline oggi rivestite di vigneti, ma tragica tomba di decine e decine di sfortunati che, per le più varie ragioni, vennero uccisi dalla Resistenza comunista. Arriva quindi a Gorizia, città che ha vissuto dapprima una drammatica resa dei conti con centinaia di persone rastrellate e infoibate e poi quasi sessant’ anni di divisione con un muro confinario che ricordava, sia pur in scala minore, quello ben più famoso di Berlino. La frattura si estende a Trieste, che subì 40 giorni di occupazione titina con morti, sparizioni e infoibamenti. Poi verso l’Istria, Fiume e la Dalmazia, terre italiane cedute alla Jugoslavia dopo i trattati di pace, costringendo trecentomila italiani a fuggire, diventando esuli sparsi nel mondo.
In occasione dell’80° anniversario dell’Eccidio delle malghe di Porzûs, abbiamo ribadito le condizioni per la riconciliazione tra ex nemici. Questa però richiede il riconoscimento della verità come dimostrato dagli eventi recenti.