IL FERROVIERE di Pietro Germi

Analisi e interpretazione di Rita Mascialino

Seconda puntata

Quindi Sandrino viene condotto in una stanza laterale al corridoio illuminata soffusamente e presentata in un movimento lentissimo di macchina, dove gli oggetti sembrano non dover mai cambiare collocazione e nulla possa variare l’aspetto ordinatissimo, fisso una volta per tutte, corrispondente alla personalità dei suoi abitanti, che indirettamente si presentano come conservatori del loro status borghese, di apparenza, una stanza molto diversa da quelle che si trovano nella casa del ferroviere, dove l’ordine è minore e  sembra sempre pronto a essere messo sotto sopra, ciò che pure corrisponde alla diversa personalità dei suoi abitanti, più dinamica, più vitale, senza status borghese di rappresentanza da conservare immutato. Nella stanza a luce soffusa le grida di Giulia sorprendono il piccolo, ma non paiono comunque disturbare la quiete e l’immutabilità della sala in cui è stato posto da Renato, nel senso che paiono estranee ad essa, così che non sconvolgono ulteriormente il piccolo che si lascia coinvolgere nella quiete della stanza. Il chiaroscuro sfumato di una quasi penombra e la staticità che contraddistinguono il luogo producono l’effetto migliore per lo sprofondare nell’introspezione, nel ricordo: Sandrino vede una fotografia della sorella e del marito al matrimonio e allora ripensa a scene di vita del passato quasi come in un dormiveglia, come anche la sua spazialità di appoggio della testa e delle braccia al tavolo manifesta mentre rievoca. Questo per dare un esempio dei chiaroscuri di Germi e di come l’estetica delle immagini, nella fattispecie delle sue immagini, faccia parte della più profonda semantica, ossia esprima significati nella loro configurazione più profonda appunto, magari all’insaputa di chi ne usufruisce restando in superficie, talora anche di chi li produce seguendo solo, si fa per dire, il suo gusto estetico.  

Un’attenzione molto particolare merita il commento musicale di Rustichelli distribuito nel film con la direzione semantica di Pietro Germi, ossia secondo il significato del messaggio del film. Nel commento musicale si individuano diversi livelli: il ritmo veloce del treno pilotato dal ferroviere, la musica dei titoli di testa e di coda nonché sfondo di eventi nella vicenda, l’aria della festa nuziale e della festa natalizia del finale che resta la medesima per i due eventi. Il ritmo veloce del treno – reso visibile dall’accelerazione della ripresa, come quello di un destino drammatico e ormai immutabile che va serrato verso la meta, fa da pendant al temperamento turbolento e impulsivo, passionale del ferroviere, incapace di frenare il suo impeto che non può che condurre al disastro – un uomo si suicida sotto le ruote del rapido che il ferroviere sta pilotando, una premonizione della tragedia cui va incontro il ferroviere stesso per sé seppure in modalità diversa. La malinconica colonna sonora dei titoli di testa e di coda e durante snodi importanti nell’evolversi della vicenda è in corrispondenza con la triste parabola degli eventi, ma anche con l’interiorità più segreta del protagonista, celata sotto la facciata dell’uomo rude, un’interiorità carica di sentimenti d’amore di un uomo la cui personalità è lacerata da contrasti non agevolmente dominabili. Si tratta di opposizioni che si sciolgono alla fine nella commozione suscitata dall’emersione dei sentimenti più veri, quelli dell’amore per la famiglia riunita attorno a lui, un amore che fluisce senza argini per così dire in una gioia che graverà sul cuore già aggredito dall’infarto portando il ferroviere alla morte. Venendo alla musica relativa alla festa matrimoniale e alla festa finale, essa, come anticipato, è molto significativamente la medesima per i due eventi, tuttavia, pur rimanendo le note le medesime, si avvertono andamenti diversi, ossia l’esecuzione si modifica. Si tratta soprattutto di differenze di tempo: più veloce e meno incisivo l’andamento dell’aria nuziale, leggermente più lento e più incisivo quello dell’aria natalizia, in cui i suoni irrompono portati da una fisarmonica che, nella speciale mescolanza di gioia e malinconia che ne connotano il timbro in generale, indossa in pieno per l’occasione, soprattutto all’inizio, la voce di un dramma incombente travestito di allegria. Germi aveva un senso tragico della vita e quindi un talento artistico particolarmente adatto ad esprimere i drammi esistenziali e nei suoi tre capolavori la gioia, anche gli spunti di comicità sparsi qui e là, non sono disgiunti dalla presenza di un humus di tristezza se non addirittura di tragedia. È come se non fosse possibile nell’interiorità di Germi sperimentare la gioia senza nel contempo associare comunque il suo opposto, come se la gioia dovesse essere scontata con il pianto, come se la vita richiamasse come suo contrario la morte onnipresente e più presente nelle occasioni di gioia, di festa, capaci di far piangere per via dell’unione di felicità e consapevolezza o sensazione inconscia della sua scarsa durata, della sua radicazione in un humus di inevitabile tragedia finale  – sulla gioia nel film di Germi stanno alcuni approfondimenti in aggiunta più oltre.   

A chiarimento dell’avverbio “significativamente” utilizzato più sopra a proposito della scelta non casuale della medesima musica per due eventi diversi – certo ci sarebbero state altre possibilità che non un’unica musica per connotare le due feste –, si tratta di due eventi di cui proprio la medesima musica sottolinea una loro somiglianza più di quanto risulti alla prima apparenza. I due eventi sono associabili in superficie nella festosità pur di eventi diversi, più in profondità nella drammaticità sottostante di morte: una festa di matrimonio che si celebra per la futura nascita di un bambino e che darà al contrario come frutto un bambino che nasce morto, una festa natalizia che termina con la morte del ferroviere. 

Al di là della musica, c’è un altro bambino che nasce a Natale, il “bambinello” Gesù citato dal sor Ugo nella sua osteria, il quale nasce vivo sì, ma destinato a morire prematuramente, recante in sé già alla nascita il destino di morte. Il bambino di Giulia, concepito per così dire nella ventata dei valori nuovi, non porterà avanti tali valori perché morirà sul nascere, ossia per Germi la nuova famiglia non potrà andare avanti o non dovrebbe. Anche i valori rappresentati dalla religione non potranno andare avanti, nell’ottica laica di Germi moriranno perché portatori di valori troppo arcaici, non mai rinnovati almeno in parte. A questo punto sembrerebbe che anche i valori del ferroviere scompaiano per sempre visto che muore anch’egli nella notte di Natale e non vedrà l’anno nuovo, ma qui c’è una differenza sostanziale: c’è un terzo bambino nato entro i valori rappresentati dal ferroviere e dalla sua famiglia il quale non morirà e porterà avanti i valori del padre – nulla lascia presagire un suo destino di morte prematura ed anzi il chiaroscuro più sopra illustrato mostra come la luce segua Sandrino e lo protegga, luce di vita che ha la meglio sulla più sinistra oscurità. Come mai il ferroviere muoia, rientra nell’impostazione del film che senz’altro commuove e forse fa piangere in una effusione catartica di sentimenti, ma non è strappalacrime. Il ferroviere muore perché non è il suo carattere nella sua componente irosa ad andare avanti, ad avere un futuro, bensì è quello dei suoi figli che, condividenti i suoi principi positivi, non ne condividono il lato iracondo e in ogni caso non sono violenti come lui. Medesima musica dunque per eventi che si compiono in un medesimo destino di morte del ferroviere e del figlio di Giulia – destino di morte anche per il “bambinello” –, futuro di vita per il figlio del ferroviere che ne proseguirà la visione del mondo nel futuro più lontano dal presente – maggiori dettagli giustificativi in questa complessa simbologia nel prosieguo di questo studio. 

Nei vari comportamenti sociali rappresentati nel film, spazio rilevante è dato all’atteggiamento dei grandi verso i piccoli. Sandrino è spesso solo ad affrontare le difficoltà, come quando va a casa di Renato dove Giulia sta per partorire e viene cacciato malamente dall’ostetrica nonché condotto da Renato, per quanto più umanamente, in una stanza con l’ordine di non muoversi, senza che gli venga detto niente a proposito delle grida di dolore di Giulia. Quando viene sorpreso dall’usciere mentre vorrebbe vedere che cosa stia succedendo a suo padre durante la visita medica, viene rimproverato con pessime maniere e minacciato di espulsione. Anche quando si trova in questura per aver rotto il vetro posteriore della macchina del corteggiatore di Giulia con un tiro di fionda, viene trattato dal commissario come fosse un delinquente vero e proprio e non un bambino da redarguire, così che il padre, pur severo nei suoi confronti, chiede al commissario il permesso di portarselo a casa, comprendendo come il commissario stia esagerando e come non sia quella la maniera di trattare un bambino. Di fatto parlerà con lui “da uomo a uomo”, sedendosi sulle scale di casa per non sovrastare con la sua statura il piccolo, per essere appunto alla pari con lui, ossia andandogli incontro e dandogli importanza, abbassandosi lui stesso per essere in certo qual modo alla medesima altezza del piccolo. Andrea Marcocci dunque non è all’antica in senso negativo, non è chiuso al dialogo con i figli come accadeva nell’Ottocento – Germi è stato definito uomo dell’Ottocento da qualche critico – in trascorse consuetudini che invece, in parte, sono conservate proprio nella società attorno a lui, come si constata almeno per i comportamenti negativi di non pochi adulti verso i piccoli.  Sono Giulia e Marcello che non dialogano con il padre nella loro ribellione giovanile, non il padre, e il piccolo dialoga con il padre appunto “da uomo a uomo” – il temperamento iracondo del ferroviere non ha a che fare con il suo voler tenere vivi i valori del passato, quelli relativi alla famiglia tradizionale: una cosa sono tali valori, altra è il carattere violento che è fenomeno umano, più in particolare maschile, di tutti i tempi. Di fatto, dopo avere sgridato il piccolo e avere tentato di dargli un ceffone, è aperto al dialogo con lui e anzi vuole ragionare con lui per capire il motivo del suo gesto riprovevole. Dunque nel film viene mostrato come gli adulti – a parte il gruppo di amici del padre – trattino i piccoli malamente, a partire dall’ostetrica che come donna dovrebbe essere più maternamente impostata verso il piccolo che non sta facendo niente di male e solo guarda verso il luogo da dove provengono le grida di Giulia e come il padre comunque scelga il metodo del  dialogo con Sandrino per conoscere la motivazione del colpo di fionda, non per giustificarlo, ma per capire il perché dell’azione, ossia viene mostrato come nei confronti della generazione più giovane il padre dialoghi. Il dialogo è mancato con gli altri due figli che non concordano con le sue idee, con i suoi metodi, ma che sono essi stessi che non hanno parlato con lui, che non gli rispondono neppure, evitano appunto ogni dialogo, mentre parlano con la madre sia perché è donna dolce e comprensiva, sia perché non è lei l’emblema del potere forte, assoluto, quello appunto rappresentato nel padre, potere che vorrebbero contestare, salvo a riconoscere successivamente la positività dei fondamentali insegnamenti paterni.  

Entrando più in dettaglio nell’analisi dei valori familiari così importanti nel film, si può constatare come la severità e la durezza educativa del padre mostrino molto indirettamente, ma comunque, anche una frangia positiva. Di fatto, nessuno dei figli del ferroviere prende la strada della delinquenza e anzi Marcello, dopo la sua crisi giovanile in cui stava deragliando dalla retta via – non lavorava, aveva contatti con la malavita e giocava d’azzardo –, proprio dopo avere messo con violenza le mani addosso al padre perché aveva picchiato la madre e dopo essere stato conseguentemente cacciato di casa, assume i comportamenti dell’uomo responsabile. Questo cambiamento di rotta lo deve certo all’amore per la madre, molto presente in lui, ma anche e non proprio poco alle dure maniere del padre che lo ha sempre rimproverato e non dolcemente per il fatto di essere uno scioperato, di non avere voglia di lavorare e gli ha sempre dato l’esempio dell’onestà. È vero, come afferma la madre, che con la prepotenza non si ottenga niente, ma è anche vero che i principi positivi, dettati dal padre spesso pur nell’ambito di esplosioni colleriche, vengono recepiti dal figlio a un certo punto della sua esperienza di vita distinguendoli dai maltrattamenti ed è anche per questo modello che il figlio ritorna sulla retta via, rendendosi conto dei propri errori. Il modello paterno di buoni principi collegato tuttavia a comportamenti impulsivi e violenti è dato anche a Sandrino che lo assorbe spontaneamente per imitazione del padre sia nel bene che nel male: in quest’ultimo ambito si vede come il piccolo reagisca impulsivamente e con violenza contro Renato Borghi e contro il corteggiatore di Giulia, ma si vede anche durante tutto il corso del film come il bambino sia molto sensibile a ciò che è giusto e ciò che è ingiusto, valori che ha acquisito a casa, dalla mamma, ma anche dal papà a prescindere dalle sue reazioni violente. Sara, parallelamente, è il modello femminile per Giulia e rappresenta la parte dolce dell’educazione dei figli. Invita la figlia accoratamente a comprendere più profondamente le cose e a provare a dialogare con Renato per non chiudere, per non separarsi legalmente, per non disfare la famiglia appena formata e che secondo la sua visione del mondo deve durare per tutta la vita in una sempre più profonda comprensione reciproca e quindi affetto reciproco. Giulia è vissuta lontano dal marito a causa della propria possibile infedeltà e dalla famiglia, cacciata dal padre assieme al fratello Marcello dopo essere stata schiaffeggiata duramente per il  rischio che potesse rompere il legame coniugale con Renato, ma il modello per lei è la dolcezza della madre tanto che alla fine capisce i propri errori e rientra con dolcezza anch’essa in un substrato femminile e familiare più tradizionale di buoni sentimenti, di fedeltà, come pure Renato, non violento per sua natura ed educazione borghese, si pente di non essersi sempre comportato bene sul piano affettivo con Giulia e di averla all’inizio della relazione forse spinta involontariamente a cercare affetto e comprensione altrove, si pente anche ricordando le parole di Sara che chiama “mamma” confermando in tal modo di sentirsi pienamente d’accordo con i sentimenti familiari vissuti in senso tradizionale –  parla solo con la zia e mai con la propria madre che è figura inesistente come pure il padre, chiusi entrambi nei loro giudizi e pregiudizi borghesi. Anche in questo caso è imprescindibile l’azione della donna nella famiglia, una donna fedele e di buon cuore come Sara, capace di comprendere profondamente la personalità degli altri. Sara tuttavia non è sempre così dolce con i suoi due figli maschi, con cui mantiene un atteggiamento affettuoso, ma all’occorrenza fermo, diverso da quello che manifesta con la figlia che essa sa destinata a sopportare e a moderare il temperamento dei maschi con la finalità di tenere coesa la famiglia nell’amore. Con i figli è anche dura quando lo ritiene necessario, ad esempio quando Sandrino non studia e molto di più quando sorprende Marcello nella camera nuziale mentre è in procinto di rubare i suoi gioielli dal cassetto del comò: nell’occasione non concede nulla al cuore di mamma, bensì si comporta da madre, la sua riprovazione del comportamento di Marcello è totale, se ne va senza guardarlo più in faccia, senza voltarsi, senza rispondergli, mostrandogli solo le spalle. Una nota flash sulla presenza dei cassetti per Sandrino e Marcello, anche per la madre: Sandrino apre di nascosto il cassetto della cucina per nascondervi la pagella negativa, Marcello apre di nascosto il cassetto del comò dove stanno i gioielli della madre per compiere l’azione negativa, per rubarli, cassetti quasi come tombe che conservano segreti che dovrebbero restare tali, che dovrebbero esservi sepolti – la lingua italiana usa il medesimo termine cassa al diminutivo per cassetto, in un caso vengono deposti i morti, nell’altro gli oggetti che si vorrebbero proteggere o nascondere, cassetti come una proiezione esterna dell’interiorità più segreta. Collegando il cassetto ai gioielli, ancora una parola in aggiunta, come anticipato, sulla gioia. I gioielli si definiscono anche gioie, termine che nella sua polisemia e nel particolare contesto relativo alla protagonista indica non solo che i gioielli siano per la madre preziosi concreti da conservare e motivo di gioia, bensì anche, metaforicamente, come le gioie della vita siano state da essa riposte nel cassetto per preservarle dall’usura del tempo, dalla perdita delle stesse. Si dice però anche che si ripongano nel cassetto i sogni irrealizzabili, in questo caso come Sara abbia riposto nel cassetto le gioie più personali alle quali essa ha rinunciato per la felicità degli altri e di cui voleva conservare comunque memoria. Quando pone le belle catene d’oro sul comò per lasciarle al figlio, rinuncia anche alla memoria più tangibile delle sue gioie, quelle che può aver vissuto nel passato. Dopo aver guardato con rimpianto le sue gioie, chiude con risolutezza il cassetto, ormai vuoto dei suoi preziosi, di cui non resta neanche un concreto ricordo. La donna ideale per Germi in questo film – e anche in alcuni altri – è un essere sacrificale, ossia il suo ruolo è quello di fungere da sostegno morale e affettivo della famiglia, di renderne possibile la vita nel migliore dei modi e questo grazie al suo sacrificio che essa compie anche delle gioie intese in tutti i sensi, contenta solo di vedere fiorire attorno a sé la famiglia, gli affetti più sani, la vita, nulla di illusorio, nulla di egoistico. 

La grande maggioranza della critica relativa al film afferma come il protagonista non si sappia adeguare ai nuovi valori subentrati nel dopoguerra e, in linea di massima, come diventi più accondiscendente verso tutti nel finale del film accettando quindi le novità comportamentali dei figli poco prima di morire, senza poter vivere il nuovo corso. Il messaggio del film dice altro, il significato del film è diverso. Come sottolinea il ferroviere stesso con la moglie a festa natalizia conclusa, dopo o durante una lunga malattia e nel rischio di morire ci si accorge, secondo le sue parole, di come sia buona la gente, ossia: questo perché la più vera personalità del protagonista si situa nell’ambito della bontà che l’impulsività temperamentale non può cancellare, per questo la bontà emerge con la malattia, quando c’è bisogno degli altri. Nel film, comunque, il riconoscimento o l’accettazione del cambio dei valori da parte del capofamiglia non si trova da nessuna parte perché non c’è da nessuna parte – ci può essere nel neorealismo, ma non nel film Il ferroviere e neanche negli altri due grandi film più sopra menzionati che come anticipato, pur rientrando in linea di massima nel neorealismo come periodo storico e come dettagli del tutto generici e generali, ne superano di gran  lunga i  confini piuttosto angusti e spesso stereotipati. Certo, Andrea Marcocci riconosce e si dispiace di essere troppo duro con i figli. Ad esempio, dopo avere schiaffeggiato e malmenato Giulia per il possibile tradimento del marito nonché scaraventato a terra la moglie che la vuole difendere, sta per colpire il figlio con il possente pugno alzato su di lui in un suggestivo primo piano che mostra come il padre gestisca il potere di capofamiglia duramente, mentre il figlio sta con le spalle al muro, inerme, senza difendersi e senza attaccare. Tuttavia l’uomo si ferma prima di compiere l’azione esecrabile e caccia via a bassa voce i due figli dalla sua casa, sferrando quando resta da solo il pugno, trattenuto all’ultimo momento per non colpire il figlio, contro un armadio, ossia contro di sé, perché si è già visibilmente pentito di avere agito con tanta impulsività e violenza. Questo però non implica che il personaggio rinneghi i vecchi e comunque per lui sani valori della famiglia, per i quali il film spezza la sua lancia, significa solo che si dispiaccia per il suo temperamento impulsivo e violento. In aggiunta: il figlio Marcello, diversamente dal padre, dopo aver visto la madre a terra scaglia i suoi pugni con violenza sulle sue spalle come a volerlo fermare, ma non lo vuole colpire in volto, ciò come segno comunque di un resto di rispetto filiale e neppure lontanamente pensa magari ad ucciderlo per questo. I valori in cui il padre ha creduto e crede ancora, sintetizzati nel modello della famiglia tradizionale, dei buoni sentimenti tutt’altro che deamicisiani e dell’onestà – non c’è nel film una sola parola né alcun fatto che parli o testimoni di valori migliori nel dopoguerra – sono stati assimilati dai figli che, se prima se ne erano allontanati nella ribellione che connota ogni cambio generazionale, li rappresentano in se stessi quando le esperienze li hanno maturati maggiormente, ossia ne continuano l’esistenza pur nei tempi in cambiamento. Indicativo relativamente a questa contestazione giovanile e in parte anche corrispondente a nuovi usi e costumi è il fatto che Giulia rinfacci al padre di non aver capito la situazione in cui l’aveva fatta vivere nella primissima giovinezza, costretta a portare i calzini fino a diciotto anni e il cappotto paterno aggiustato. Questa dichiarazione pare sorprendere il padre al quale forse la figlia non aveva mai detto niente in merito subendo le sue imposizioni. Gli rinfaccia anche di essere stata costretta a sposare un uomo che lei non amava e dal quale non era amata. In questo soprattutto è sintetizzata la contestazione della donna contro il padre nei tempi nuovi, tempi forieri soprattutto di una incipiente maggiore libertà sessuale dei giovani, specificamente delle donne, e di un conseguente possibile sgretolamento della famiglia tenuta in piedi da donne per così dire vecchia maniera. In altri termini e ribadendo, nel film non si tratta di una contestazione radicale da parte dei figli, ma di una normale contrapposizione contro il mondo dei padri rispecchiante sì la nuova generazione, ma non come rivoluzione vera e propria: di fatto, passata la sfuriata, Giulia e Marcello rientrano del tutto o quasi nei valori tradizionali della famiglia, lasciando perdere il vento di novità cui si erano lasciati andare precedentemente e riprendono i vecchi valori sulla base di sentimenti che riconoscono veri, di comprensione di quelli che ritengono adesso errori commessi in una scelta di comportamenti esistenziali non giusti, non positivi e con volontà di porvi rimedio.

Molto significativo a proposito dei vecchi valori della famiglia tradizionale, è l’arrivo di Marcello nella casa del padre la sera di Natale nel finale del film, quando Sandrino lo tiene per mano e lo tira per farlo entrare in casa visto che Marcello è intimidito e, nell’eccellente interpretazione dell’attore e rugbista Renato Speziali, ha timore della reazione paterna al vederlo come si vergognasse del suo passato, così che stenta ad entrare. Sandrino quasi lo strattona dentro casa e dà subito lietamente la più buona novella al padre relativa al fatto che Marcello non andrà più via, ciò che implica che rimarrà accanto alla famiglia, agli affetti familiari, non disgregherà l’unità della famiglia, i suoi più sani valori. Un Sandrino raggiante dunque dà al padre la novella più importante: i valori della famiglia per come l’ha impostata la madre, ma non poco il padre stesso – è al padre che il piccolo si rivolge –, sono ripristinati, la struttura del gruppo familiare può continuare a sussistere come sempre, come prima e meglio di prima, consolidata e rischiarata dagli affetti, dai buoni sentimenti che ne sono il cemento più resistente alle intemperie. Ed è proprio come se Sandrino rendesse metaforicamente visibile la catena che collega la più giovane generazione attraverso la generazione mediana alla vecchia generazione, indissolubilmente. Sandrino tiene per mano il fratello e per così dire lo consegna al padre, ossia: la generazione più in erba in casa Marcocci consolida non i possibili nuovi valori, ma quelli cosiddetti vecchi pur in un’atmosfera lievemente nuova. Marcello, commosso e come  vergognoso della sua precedente poca voglia di fare del bene e della sua azione trascorsa di attacco al padre, nonché anche vergognoso della dichiarazione di Sandrino concernente il suo ritorno a casa, un ritorno un po’ con la coda fra le gambe come per ammettere gli errori precedenti, si riconcilia con il padre pentendosi di avergli messo le mani addosso seppure per difendere la madre buttata a terra nell’accesso di ira furiosa, è anche fidanzato con una bella ragazzina di buona famiglia, figlia di un Capo Sezione, non ha più contatti con il mondo della malavita, ha messo verosimilmente la testa a posto. Mentre padre e figlio si abbracciano stretti in un traboccare di forti emozioni, di perdono reciproco e di amore profondo e commovente, la madre, che già sosteneva il padre accarezzandolo alle spalle per fargli sentire il suo sostegno e la sua vicinanza, abbraccia a sua volta i due uomini e li tiene uniti in un unico semicerchio fatto dalle sue braccia a protezione di Andrea, marito e figura paterna, e del figlio. Marcello la fa rientrare nel cerchio abbracciando anche lei stessa con il proprio braccio che resta comunque all’interno del cerchio formato dalla madre. Come è messo in evidenza nella significativa immagine, la donna forma essa stessa una fortezza che li difende da ogni possibile attacco disgregatore, così che nel nucleo familiare nulla e nessuno possano fare breccia perché lei rende coeso il cerchio, un nucleo di antica origine, forte, più forte che mai, per nulla traballante né in via di mutamento e il figlio la coinvolge anche dentro l’abbraccio suo e del padre, madre che risulta così essere componente fondamentale della famiglia, sua difesa affettiva e sua base. Il mutamento che stava per instaurarsi nei due figli grandi, presentato nel film come per nulla positivo visti gli effetti sulle loro personalità e di conseguenza sulla società, non si è realizzato e questo viene festeggiato nell’abbraccio dei due uomini e della donna. E Sara sempre sopporta Andrea, il suo uomo, perché ne capisce la personalità, irruenta e resa più impulsiva dall’abuso di alcol, ma di fondo buono e onesto. Al proposito, di una certa non piccola rilevanza è lo spazio ripetuto che Germi dà alla pulizia personale del suo personaggio, sia in ferrovia che a casa. Si vede piuttosto a lungo come Andrea Marcocci si lavi con cura e vigore, un’azione rimarcata che indica una pulizia non solo concreta ma anche metaforica: dentro e fuori ed è così, il ferroviere viene presentato come persona sì impulsiva e anche talora collerica, ma comunque onesta, pulita. Tornando a Sara e ribadendo, essa non dà spazio a nessun permissivismo: come già accennato, quando scopre Marcello a rubare i suoi gioielli, non si lascia commuovere dall’amore di mamma che essa non interpreta separatamente dall’ambito educativo che le compete, gli dà essa stessa l’oro che gli serve per saldare il suo debito e con ciò evita nel contempo che il figlio compia l’azione disonesta di rubare, ma lo fa come giudice inflessibile, ossia non lo perdona nell’occasione, questa donna di Germi non cede ai sentimentalismi quando si tratta di insegnare l’onestà ai suoi figli. Dopo la morte del padre, Marcello, meno lieto ma ancora capace di sorridere alla madre e anche a Sandrino, torna a vivere con questi e fa il ferroviere come il padre, lavoro che non aveva mai voluto intraprendere in precedenza anche per non seguire le orme paterne, ciò nel clima di insubordinazione che si era instaurato in lui con la maggiore libertà subentrata nel clima del dopoguerra e che appare superato. 

Anche il fatto che il piccolo non abbia visto il padre morto risulta essere molto rilevante nel significato più profondo dell’opera. Potrebbe sembrare che i familiari abbiano preservato il bambino dal vedere la triste immagine e senz’altro è anche così in superficie, ma più in profondità e in perfetta coerenza con il messaggio di Germi tale comportamento si rivela segno evidente di quanto il film comunica con tenacia e assiduità. Per chiarire, il padre, di cui si dice che pareva sorridere serenamente, non viene visto morto dalla più giovane generazione della famiglia, perché non muore nella vita futura del gruppo da lui fondato, ossia: nella vita di Sandrino il padre non muore perché i suoi valori, condivisi dalla madre e dagli altri membri della famiglia, verranno portati avanti nella società di domani – il piccolo Sandro rappresenta il futuro più distante dal presente. Ancora: il piccolo non vede il padre, così può ricordarlo da vivo e sarà per così dire sempre vivo in lui con continuità. Di fatto l’eventuale vista del padre morto, rendendone più evidente la morte, avrebbe significato altro nel film, ma non è stato così. Certo, alla madre il giorno non sorride più vista la mancanza del compagno che ha amato con tutti i suoi pregi e i suoi difetti, ma essa non cessa per questo di tenere i figli legati agli affetti e alle importanti  abitudini ad essi collegate: quando Sandrino va a scuola e si dimentica di salutarla perché vuole seguire in fretta il fratello maggiore che lo invita fischiettando il motivetto di intesa conosciuto da tutta la famiglia, lo richiama quasi rimproverandolo di trascurare il saluto e gli dà il bacino che lo accompagnerà nel suo viaggio quotidiano nella società, a scuola, il bacino che rappresenta il legame affettivo, quello che lo abitua ad amare la famiglia, il cui capo ora è essa stessa più direttamente, e a seguirne i principi comportamentali basilari. Lo stesso Andrea, quando il piccolo gli fa visita nell’osteria mentre beve da solo, chiede al figlio in una inquadratura memorabile di dargli un bacio, chiede affetto come segno tangibile di un legame indissolubile. Dunque Sandro va a scuola con il bacino della mamma, Marcello va a lavorare salutando la madre con un sorriso aperto e affettuoso, Renato e Giulia sono tornati assieme e lavorano assieme nel negozio di proprietà della famiglia Borghi, la madre, pur tristissima senza il suo uomo, mantiene intatto il suo ruolo educativo tanto fondamentale per l’individuo e per la società. 

Concludendo l’analisi critica relativa ai valori familiari e a più vasto raggio ai valori conseguenti di ambito sociale e politico nel messaggio del film: il finale conferma una volta di più come le idee del ferroviere relativamente allo status quo e comunque al mantenimento e ripristino dei vecchi valori tradizionali con i ruoli di ciascuno in armonia con la natura di ciascuno – così nel film – abbiano la meglio sulle novità che si affacciano nella società del dopoguerra e che, sempre nel  messaggio di Germi, appaiono disgregatrici della struttura familiare come colonna portante della società. Le regole non sono imposte da lui che non c’è più in carne ed ossa, ma si tramandano in chi resta, nei discendenti che le accettano e realizzano perché riconoscono in esse un modo di vivere positivo, imperniato sulla potenza degli affetti, sull’onestà, sui ruoli collaborativi sebbene diversi di maschio e femmina, ma senza violenza come si evince dalla modalità dolce di approccio tra Giulia e Renato da un lato e tra Marcello e la fidanzatina dall’altro. Ribadendo ancora: la famiglia tradizionale ha la meglio al di là di piccoli assestamenti epocali inseribili nel suo volto di sempre senza mutarlo sostanzialmente. Una nota sulla voce della fidanzatina di Marcello: la giovane è perfettamente calata nel suo ruolo di dolce compagna, come viene sottolineato appunto dalla vocina straordinariamente sottile e femminile, nonché dall’estrema delicatezza dell’eloquio del tutto distante da un unisex qualsiasi pur nei tempi che cominciavano ad essere diversi.

Fine della Seconda puntata

Analisi e interpretazione di Rita Mascialino

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