Progetto Paese, riforma fiscale e giovani sono le tre “ossessioni”, così definite dal Claudio Siciliotti, Dottore commercialista in Udine, già presidente del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, che connotano dieci anni di riflessioni raccolte nel suo libro “Il tempo dei costruttori”. Federmanager Friuli Venezia Giulia, a pochi mesi dall’uscita dello stesso, ha colto l’occasione di presentarne i contenuti, venerdì 10 febbraio alle ore 18:00 presso la sede di Federmanager Udine, insieme all’autore che verrà intervistato dal Presidente di Federmanager FVG Daniele Damele. “Sono riflessioni di chi osserva con la testa libera, di chi guarda la realtà dall’altro lato della strada, lontano dalla folla che va sempre in quella direzione perché pensa che sia l’unica da poter utilizzare”, commenta Siciliotti. Alla sua nona presentazione, con altre cinque in programma, “Il tempo dei costruttori” vuole essere un monito a riflettere su chi vogliamo essere come sistema Paese, perché inevitabilmente la concretezza della realtà, in un momento di estrema incertezza, ha convocato ciascuno ad assumersi delle responsabilità.

Dott. Siciliotti qual è il messaggio racchiuso nel titolo del libro?

Mi piacque l’espressione di Sergio Mattarella, che usò nel discorso di fine anno del 2020, quando disse “Non viviamo in una parentesi della storia. Questo è tempo di costruttori.” È una locuzione che identifica pienamente il mio pensiero: il tempo dei costruttori è il tempo di quei leader che sanno guardare lontano, che sanno sacrificare il proprio interesse per quello altrui, che hanno attenzione ai loro figli più che a loro stessi, perché quello che manca in questo momento è la visione di un progetto Paese. Io credo che il tempo dei costruttori sia una cosa che riguarda noi tutti, ciascuno di noi può fare in qualche modo la sua parte svolgendo il suo ruolo nel proprio campo. Abbiamo bisogno di persone competenti in ogni ambito e bisogna avere l’umiltà di riconoscerne la necessità. L’altro riferimento ai costruttori è quello di prendere coscienza che per costruire ci vuole del tempo e ci vogliono dei sacrifici. La politica di oggi vive solo nel presente, dà solo risposte a pseudo esigenze immediate, mentre c’è bisogno di rivedere tutte le questioni difficili che abbiamo di fronte e risolverle in un processo di realizzazione responsabile, che necessariamente ha i suoi tempi.

Quando parla di progetto Paese e riforma fiscale cosa intende?

Quando parlo di progetto Paese mi riferisco alla necessità di indicare che tipo di Paese vogliamo e di costruirlo nei tempi necessari che servono per realizzare qualcosa di così importante e complesso. Questo inevitabilmente si ricollega alla riforma del fisco, alla riforma della giustizia e alla riforma della pubblica amministrazione. Tutte cose che andrebbero risolte prima di affrontare tematiche come digitalizzazione e la transizione ecologica, le quali, anche se necessarie, dovrebbero venire di conseguenza. Mi riferisco al fisco, non in termini di denaro, ma di scelte. Faccio un esempio, vuoi un paese dove la sanità è pubblica e aperta a tutti, vuoi un’istruzione garantita a tutti, vuoi la sicurezza? Bene, allora si fa il conto della spesa pubblica, poi si riflette su chi paga e quanto individuando gli strumenti che assicurino che vi siano le entrate sufficienti per garantire tutto questo. Ci possono essere più tasse e più servizi o meno tasse e meno servizi, ma meno tasse e più servizi e un’opzione che non esiste e bisogna avere il coraggio di dirlo. La riforma del fisco dovrebbe partire da queste fondamenta, analizzando queste cose e una volta che sono state discusse spiegarle per trovare l’adesione nelle persone. È l’elemento fondante di una comunità nazionale perché determina il tipo di Stato e le regole da adottare, e una volta condiviso, attraverso la compartecipazione di tutti i cittadini, definisce l’impegno a mantenerlo in vita perché voluto e non imposto. Noi, invece, abbiamo creato un sistema col presentismo che dà tutto a tutti e non paga mai il conto. Abbiamo creato l’illusione che sia un diritto non patire gli effetti dell’inflazione, che sia un diritto ricevere un sussidio invece di lavorare, che sia un diritto andare in pensione prima senza pagare i contributi e restare poi in pensione per venti e trent’anni.

“Quei giovani invisibili che la politica continua ad ignorare”, articolo d’apertura del libro che risale al 2013, ma che tutt’ora sembra attuale.

La mia la terza “ossessione” è l’assenza di qualsiasi attenzione ai giovani. Ci sono due dati, a mio parere, sconcertanti. Il primo è che in Italia attualmente solo il 43% dei cittadini che hanno più di 16 anni lavora; quindi, la maggior parte dei cittadini abili al lavoro non lavora, e sempre meno lo fanno i ragazzi che vanno dai venticinque ai trent’anni, in più un terzo di questi non solo non ha un’occupazione, ma non studia e non si forma. Condizione che incide inevitabilmente sulla spesa pubblica. Il secondo è che abbiamo 400.000 nascite in meno all’anno e un paese che non fa figli non ha futuro. Un numero così basso che non si vedeva dal lontano 1861. Nel frattempo, in trent’anni, abbiamo triplicato il debito pro capite finanziando misure che non ci potevamo permettere con continui scostamenti di bilancio che sono andati a debito e che, nel futuro, dovranno pagare i nostri ragazzi. Ora, se si producesse una detassazione dei redditi di lavoro dei nostri giovani fino al compimento del trentesimo anno di età, sono convinto che ci sarebbe più occupazione e quelle tasse risparmiate rientrerebbero sicuramente, perché i giovani avrebbero più potere d’acquisto o la possibilità di crearsi una famiglia. Invece noi abbiamo fatto la norma per agevolare i mutui per acquistare la casa. I giovani al giorno d’oggi, come prima cosa, non devono pensare a comprarsi una casa ma a farsi delle esperienze perché il lavoro del mondo e mobile, flessibile. Questo è solo un esempio perché il tema dei giovani in questo libro l’ho trattato a lungo e continuerò a farlo anche in futuro.

Rispetto alla sua professione, occupandosi di imprese, quale sono state e continuano ad essere le ricadute della pandemia e della guerra?

Il grande problema per le imprese, in questo momento, sta nella difficoltà di effettuare una programmazione. Queste due crisi che ci sono arrivate da fuori, di fatto imprevedibili, hanno determinato un profondo senso di incertezza. È la prima volta che due eventi di tale portata avvengono a distanza ravvicinata l’una dall’altra e con effetti che si intersecano tra di loro. Questo non era mai accaduto; quindi, credo che dobbiamo attrezzarci in qualche modo per essere pronti alle sorprese, le quali saranno multiple e continue e cercare di costruire un sistema che sia idoneo a fronteggiare la fragilità. Bisognerà adattarci ad un sistema più flessibile, che non si basi più solo sulle filiere lunghe, ma su quelle a corto raggio. L’imprenditore che, fino ad adesso è stato abituato ad assumersi dei rischi perché in qualche modo li può quantificare, ora ha a che fare con l’incertezza. Sarà quindi necessario creare dei sistemi che si adattino all’imprevedibilità, diventata oggi una variabile sempre più frequente. Ormai non possiamo più’ vivere nell’illusione della pace sistemica. La guerra ha determinato la riduzione delle previsioni di crescita che in termini tecnici si chiama stagflazione, cioè la compresenza di stagnazione economica e al tempo stesso incremento dei prezzi. Una cosa che di solito non si verifica perché o è l’una o l’altra cosa; quindi, assenza di crescita con incremento dei prezzi, una condizione che determina grosse difficoltà ad intervenire perché, come dire, se si mettono in atto misure per la riduzione dei tassi queste aumentano l’inflazione e l’aumento dei tassi deprime la crescita. Siamo dunque in un momento in cui le misure sono in controtendenza rendendo così difficile la crescita del prodotto interno lordo (Pil).

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