Due vite, due traiettorie che nelle diverse origini mai avrebbero potuto neppure sfiorarsi, alla fine entrano in collisione fino all’epilogo mortale. Mentre lo sfondo delinea le tappe e le atmosfere del ventennio fascista con le esaltazioni, le illusioni e le tragedie che lo segnarono, è sul rimbalzo tra due figure, e sui mondi di cui sono espressione, che corre il romanzo storico “Il fros curt” (editore Aviani) che il giornalista Ido Cibischino ha da poco dato alle stampe.
Il libro è figlio di una curiosità inappagata. “Dell’uccisione nel luglio del 1944 dell’ex podestà di Talmassons per mano partigiana – scrive l’autore nell’introduzione all’opera – avevo colto imprecisi e vaghi frammenti da bambino: in paese ne parlavano mal volentieri e con circospezione, quasi maneggiassero una mina ancora capace di esplodere, quindi da lasciare sepolta sotto la stessa terra che copriva le tombe dei protagonisti. Ebbene, le reticenze di allora, moltiplicatrici di curiosità, me le sono portate dietro per 60 anni, allorché la voglia di sapere è sfociata in una simil-ossessione. Chi erano quegli uomini, perché e come era successo?”.
E’ il terzo lavoro – impreziosito dai lampi scenici dell’illustratore Gianni Di Lena – di una produzione letteraria cominciata con “Buine fortune – L’emigrazione friulana nel secondo dopoguerra” scritto con gli studiosi Ottorino Burelli e Javier Grossutti; e proseguita con “Teiello”, opera in lingua friulana che rievocando vissuti familiari e schegge personali si inoltra nelle trasformazioni epocali degli anni Sessanta. Scritto in italiano ma profondamente friulano è anche questo nuovo libro, a cominciare dal titolo (“Il fros curt”: la pagliuzza corta) e dall’ambientazione, il Medio Friuli, con l’epilogo nell’estate del 1944 allorchè più viva e ficcante si era fatta la lotta partigiana contro gli occupanti tedeschi e gli irriducibili della Repubblica sociale che li affiancavano: guerra civile e guerra di liberazione, e tempi di rese dei conti.
Tempi violenti sui quali i protagonisti – inseguendo l’uno la brama di comando e di potere, e di conseguenza l’apprezzamento dei vertici del regime; l’altro l’emancipazione da una marginalità indotta dalla schiavitù della terra più che sollecitato da spinte ideologiche – confluiscono senza conoscersi. E senza conoscere il destino che li metterà di fronte nel tragico atto finale.