Il tuo nome sia con me – epilogo finale.

Mi sono trattenuto qualche giorno a Roma, successivamente al mio arrivo il 21 agosto. Avevo infatti calcolato due giorni di riposo da fare uno a Lucca e uno a Siena. Tutto sommato, lungo il tragitto, ho valutato che sarebbe stato molto più difficile far ripartire le gambe dopo aver riposato. Ormai avevo preso il giusto ritmo e volevo continuare. Il vantaggio è stato l’aver qualche giorno a disposizione a Roma al termine di tutto. Dopo aver assistito all’angelus del Papa con la bandiera del Friuli al vento, ho “dismesso” gli abiti da pellegrino e ho indossato quelli da turista, dedicando però un’ultima emozione alle quasi 300 persone scritte sulla bandiera. Ho voluto andare in cima alla cupola di San Pietro, punto più alto a Roma, e fare alcune fotografie con la bandiera stessa. La sommità di San Pietro è qualcosa di particolare, perché la  vista spazia su tutta la città e anche oltre. Lì ho deciso di fare l’ultima fotografia con la bandiera. Vi confesso che mi era passato per la mente di girare in bicicletta Roma e fare altre fotografie, come davanti al Colosseo oppure a fontana di Trevi, ma usciva dagli schemi del pellegrinaggio e sembrava più una cosa turistica da fotomodelli, priva di quel significato profondo che ho cercato di dare per tutta la via Francigena. La cupola di San Pietro invece è la “vetta” del punto di arrivo della via Francigena. Ricordo che ho corso sugli scalini, con tratti che devi stare inclinato per salirci. C’era un po’di vento lassù in alto, e mi è sembrato il saluto di tutti coloro che mi hanno supportato in questa iniziativa. Sono stato a lungo ad ammirare il panorama, rendendomi conto di quanto siamo fortunati a vivere in queste terre. Abbiamo il mare, le montagne, una storia millenaria, una cucina buonissima, opere d’arte da far invidia a chiunque. Nella vita di tutti i giorni vogliamo sempre di più di quello che la vita ci dà. Viviamo insomma di un egoismo cosmico, come in un vortice del “più ho e più voglio avere”. Spesso non ci accontentiamo mai. Un’esperienza come la via Francigena ti riporta in basso, con i piedi per terra e apprezzi ogni singola cosa. Sapeste quanto ho apprezzato materassi buttati a terra dove poter appoggiare la testa o un divano puzzolente in un granaio dove distendermi a riposare. Quando poi soggiorni in un albergo, semplice, non stellato, ti sembra troppo tutto quello che trovi. In queste condizioni apprezzi proprio tutto, perché la ricchezza sta nelle persone che incontri, che ti offrono quello che hanno. Ti offrono col cuore, ma sono certo che ricorderò più queste cose piuttosto che un hotel a 5 stelle. Citerò sempre nella mia vita un fatto di cinque anni fa. Nella prima tappa del primo cammino di Santiago, avevo appena superato i Pirenei, che dividono la Francia dalla Spagna e, mentre scendevo, in un caldo torrido (4 luglio 2016), incontro un signore molto robusto, stanco, che faceva fatica a camminare. La sua maglietta era zuppa di sudore. Mi avvicino e gli chiedo se avesse bisogno di aiuto. Aveva terminato l’acqua. Guardando la guida ho notato che poco oltre c’era una fonte d’acqua, mi sono fatto dare le sue borracce e sono corso a riempirle. Mi ha ringraziato tantissimo per questo gesto. La sera stessa ci siamo trovati a cena a Roncisvalle, stesso tavolo e stessa minestra. Chiacchierando del più e del meno, scopro che questo signore è americano ed è proprietario di ben 4 pozzi petroliferi. Rimango basito, il cammino ci rende tutti uguali, tutti con i medesimi sacrifici. Le salite sono identiche per tutti, non conta il grado sociale o il portafogli. Questo signore mi ha detto che le due borracce  d’acqua che gli ho portato sono più preziose di tutto il petrolio del mondo!

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